“È morto serenamente”. Lutto nel mondo del cinema, addio all’ultimo dei grandi vecchi


“Morire non ha nulla di grande, tutto il contrario, è la fine della possibilità di essere grandi”. Così, in totale contrasto con Heidegger, aveva detto durante una delle ultime interviste. Lui, uno degli ultimi geni del secolo scorso: regista, scrittore, filosofo che il mondo lo guardava con occhio disincantato e gelido. Da sempre. Claude Lanzmann, scomparo serenamente all’età di 92 anni, infatti fu uno degli organizzatori della Resistenza al liceo Blaise Pascal di Clermont-Ferrand nel 1943. Partecipò alla lotta clandestina in città, poi alle azioni dei partigiani alla macchia dell’Alvernia. Gli fu assegnata una medaglia della Resistenza, fu nominato cavaliere della Legion d’onore e commendatore dell’Ordine nazionale del Merito. Docente all’Università di Berlino durante il blocco, incontrò nel 1952 Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, dei quali divenne amico; fu compagno della de Beauvoir dal 1953 al 1959. Da allora non ha mai smesso di collaborare alla rivista Les Temps Modernes (Tempi Moderni). (Continua dopo la foto)



Regista iniziò a lavorare al film Shoah nel corso dell’estate 1974 e poi lo occupò a tempo pieno per undici anni. Il risultato è un film-fiume della durata di nove ore e mezza ma soprattutto un’opera fondamentale, sia dal punto di vista storico che cinematografico. Grande amico del filosofo francese Jean-Paul Sartre e della scrittrice francese Simone de Beauvoir (fu suo compagno dal 1953 al 1959) e con il pensatore dell’Esistenzialismo collaborò alla rivista Les Temps Modernes, di cui è stato il direttore. (Continua dopo la foto)






La rarefatta filmografia di Lanzmann, oltre al capolavoro Shoah(1985), Pourquoi Israel (1972), comprende Tsahal (1994), ultimo capitolo della trilogia, Un vivo che passa (1997), Sobibor – 14 ottobre 1943, ore 16.00 (2001). Nel 2013 Lanzmann ha pubblicato il documentario L’ultimo degli ingiusti. Recuperando la lunga intervista filmata del 1975 al rabbino di Vienna Benjamin Murmelstein, tratteggia la figura formidabile dell’unico fra i decani dei ghetti d’Europa che fosse sopravvissuto alla Shoah. (Continua dopo la foto)



 


Il titolo provocatorio attinge alla descrizione che Murmelstein stesso fece di sé: prima dirigente e poi presidente degli anziani, egli si trovò ad operare nel campo di concentramento di Theresienstadt – dove morirono di stenti 33.000 ebrei e altri 88.000 furono deportati in altri lager – spacciato dalla propaganda nazista come città modello per gli ebrei ivi reclusi, negli anni dal 1943 al 1945. Processato per collaborazionismo dopo la guerra dai cecoslovacchi e assolto, si stabilì a Roma. Nella capitale italiana Murmelstein incontrò l’ostilità della comunità ebraica locale.

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